Bisognava correre.
Il più veloce arrivava a casa per primo, afferrava l’ultimo numero di Topolino e andava a chiudersi nella propria stanza per leggerlo.
Questo succedeva ogni mercoledì. Io uscivo dall’asilo, mio fratello da scuola. Due edifici vicini tra loro e non distanti da casa. Sapevamo che quello era il giorno del postino, perciò correvamo con le nostre gambette magre, le nostre scarpe di cuoio coi lacci sciolti. Io avevo un piccolo cestino canestrato di plastica rosa che spesso dimenticavo per la fretta. Mio fratello una cartella di cuoio scuro da portare a mano. Se ci incontravamo sulla strada ci guardavamo in cagnesco e ciascuno diceva all’altro “prima io!”.
Nostra madre era abituata all’incursione del mercoledì e credo che la divertisse molto. Entravamo in casa passando dalla farmacia. Lei lasciava il Topolino sul banco, come un’esca per pesci affamati e sorrideva vedendoci arrivare sudati e scalmanati per accaparrarcelo.
Ma la cosa che la faceva divertire di più era che io non sapevo ancora leggere e lo sfogliavo inventando le storie guardando i disegni.
Mio fratello invece aveva iniziato la prima e aveva imparato. Questo mi faceva rabbia. Non conoscere il codice della scrittura. Erano segni con identità nascosta ed era inutile che mi sforzassi strabuzzando gli occhi per cercare di cavarci qualcosa. Mi dovevo accontentare dei disegni.
Avrei aspettato ancora più di un anno prima di entrare a scuola.
Troppo tempo.
Ma una sera, in televisione, ecco un signore davanti ad una lavagna. Dice che non è mai troppo tardi per imparare e che vuole insegnare a leggere e a scrivere a tutte le persone che non sono mai andate a scuola. Ci sono solo adulti. Ma, penso, se non è mai troppo tardi, forse non è mai nemmeno troppo presto! È la mia opportunità.
Ora che lo so, ogni sera mi metto in ginocchio su una sedia della cucina e su un foglio strappato da un quaderno copio le parole che scrive e che pronuncia con la sua voce calma e chiara, ferma e rassicurante. È davvero incredibile come io ricordi ancora esattamente quando spiegò la differenza tra la e congiunzione e la è verbo. Doveva essere circa novembre.
Mia madre raccontò a sua sorella, maestra elementare, quello che stavo facendo. Così a Natale questa zia mi regalò i cartelloni colorati che si usavano a scuola: a A di ape, b B di bruco, c C di ciliegia. Finalmente il codice segreto era nelle mie mani. Cominciai a passare ore allungata sul letto con una mano sotto la guancia e l’altra a girare le pagine dei giornalini.
Così ho imparato, col Maestro Manzi e i cartelloni della Zia. Da allora non ho mai smesso. Credo che non ci sia stato un solo giorno nella mia vita che io non abbia letto almeno una pagina di un libro. Un libro di carta intendo. Col suo profumo di stampa o che odora di polvere.
Maria Antonietta Labrozzi
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