MI CHIAMO ALFONSINA E FINO A 10 ANNI NON HO MAI AVUTO UN GIOCATTOLO.
In famiglia eravamo talmente tanti che si faceva fatica a mettere insieme il pranzo con la cena. Figurarsi i giocattoli.
Mi sono sempre dovuta rimboccare le maniche per non farmi mettere sotto dai miei fratelli, piccolina com’ero. Piccolina ma forte. E molto testarda.
Sono nata nel 1891 a Riolo di Castelfranco Emilia e ho avuto un’infanzia veramente molto povera. Capirete come mi sono sentita quando mio padre ha riportato a casa una bicicletta tutta scassata, recuperata chi sa dove. Da quel momento la mia vita è cambiata.
Arrivavo a stento ai pedali, ma mi sentivo come fossi nata in sella. Non l’ho più lasciata. Mi alzavo di notte per andarla a vedere. Non dormivo al pensiero di inforcarla e correre ,correre, correre, sulle strade polverose in mezzo ai campi. Fermarmi solo quando le gambe non ce la facevano più. Correre più dei maschi. In pantaloncini come i maschi. Un mezzo scandalo.
A 15 anni avevo dei polpacci divenuti potenti dagli allenamenti quotidiani. Gareggiavo con altre donne e con uomini.
Nel 1911 ho stabilito il record mondiale di velocità femminile, arrivando settima in gara con soli uomini.
Pedalavo come se la strada fosse tutto il pane che non avevo mangiato. La macinavo con la stessa fame che avevo avuto da bambina. Insaziabile. Non ero mai stanca e sono sempre arrivata al traguardo. Qualche volta per ultima. Ma per me l’importante è sempre stato correre.
Quando sono andata a vivere a Milano, dove mi sono sposata, è iniziata la guerra e le gare sono state sospese. Non il Giro di Lombardia, nel 1917.
In gara Girardengo, Belloni, Pellissier. Arrivai ultima, ma ero diventata la “regina della pedivella”.
Fui portata trionfo per le strade di Milano.
Sono stata l’unica donna ad aver partecipato al Giro d’Italia, nel ’24.
3613 Km in 12 tappe, con molte partenze a notte fonda. Lungo le strade sempre più persone ad incitarmi e a sostenermi, donne e uomini. Di 90 alla partenza,33 arrivati al traguardo. Io ero tra questi. L’apice del mio riscatto.
Mai più da allora hanno accettato donne al Giro d’Italia e mi sono dovuta accontentare di sfide solo al femminile. Però ho continuato a vincere, vincere, vincere. Fino a 65 anni , nel 56, una gara tra veterani.
Avevo aperto a Milano un negozio-officina dove insegnavo ai ragazzi a correre e ad aggiustare le biciclette, per nulla in cambio che la gioia di vederli imparare. Felici.
Coppi, Bartali, Magni, venivano di frequente a salutarmi in negozio. Galantuomini. Si usa ancora questo termine oggigiorno?”
Il 13 settembre del 1959, una domenica, Alfonsina Strada va con la sua Guzzi a vedere la partenza della Tre Valli Varesine, ma quel giorno la sua moto le dà problemi. Non vuole ripartire. Il pedale fa i capricci. Nello sforzo Alfonsina ha un malore che non riesce a superare.
Dove riposa, a Cusano Milanino, una bicicletta di bronzo ricorda la sua passione di una vita.
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