Mia madre e la strage
Quel lunedì mi ero alzata con gli occhi gonfi.
Era la vigilia di Natale del 1984.
Io avevo passato la notte a piangere per Valeria.
Valeria (Moratello) era una mia compagna di università.
Una ragazza graziosa, col viso tondo e un sorriso accogliente.
Era molto brava a prendere gli appunti a lezione. Appunti che passava con generosità a chi glie li chiedeva.
Grafia ordinata, appunti organizzati. Come era lei.
Non la vedevo da qualche mese.
Io ad ottobre mi ero laureata, avevo già dato l’Esame di Stato e lavoravo in farmacia con mia madre.
Anche quella mattina dovevo scendere al lavoro, ma il pensiero di Valeria mi paralizzava e mi inondava di lacrime.
La sera precedente, domenica 23 dicembre 1984, alle 19.08, Valeria era stata polverizzata dalla bomba fatta esplodere sul Rapido 904, mentre tornava da Firenze a casa sua a Bologna, dopo una giornata di svago.
Continuavo ad avere davanti agli occhi il suo bel viso.
Io ero impresentabile.
Mia madre invece, comunque anche lei molto colpita dalla tragedia, era già pronta per scendere, ben pettinata e con indosso il suo camice candido e stirato di fresco.
“Sai che lavoro fa il farmacista?” Mi chiese.
“Noi facciamo un lavoro che ci fa imbattere continuamente con il dolore delle persone, con le sofferenze del corpo e dello spirito degli altri. Se vuoi fare questo lavoro ti devi ricordare sempre che il dolore degli altri viene prima del tuo. Quindi adesso, il tuo lo lasci in casa, ti chiudi la porta alle spalle e ci penserai quando la riapri. Ora vai a sistemarti, perché se entra qualcuno che non sta bene, lo fai sentire peggio.
E’ il nostro lavoro.
Senno non lo fai.”
M. Antonietta Labrozzi
Lascia un commento