QUANDO ALL’IMPROVVISO nostro padre venne a mancare, la mamma aveva solo 50 anni, mio fratello ed io eravamo all’università e mia sorella faceva il liceo.
Dovemmo fare i conti con la dura realtà che ci aveva investiti da un giorno all’altro come un meteorite. Non eravamo stati allertati da una malattia. Eravamo impreparati alla perdita.
Quando si è giovani si pensa che queste cose non possano accadere. Anzi, a queste cose non ci si pensa proprio. La morte è così lontana.
Per questo eravamo storditi, come in trance. Avvolti da uno stupore denso come nebbia.
Ho pochi e vaghi ricordi di quei giorni, ma sono quelli che hanno dato la direzione alla mia vita.
Ricordo che la mamma era molto composta e sebbene affranta non si è mai mostrata in lacrime.
Ricordo tante e tante persone che vennero a trovarci e compresi il significato della parola che tutti dicevano. Coraggio. Coraggio di continuare a vivere, nonostante l’accaduto.
Ce ne voleva tanto per alzarsi al mattino e lavarsi la faccia, rifarsi il letto, andare a fare la spesa.
Coraggio del quotidiano, che all’improvviso sembra non avere più senso.
Poi ti guardi indietro e capisci che quello ti ha salvato. Quel coraggio ti ha ancorato alla vita, non per eroismo, ma per senso del dovere.
Ricordo che nessuno di noi voleva più mangiare. Eravamo seduti a tavola muti, a guardare il contenuto dei piatti, con le forchette a mezz’aria e lo stomaco chiuso con un nodo stretto stretto.
Un giorno mio fratello si presentò con un barattolino di pappa reale e disse che non potevamo andare avanti così. Ciascuno ne mise una palettina sotto la lingua e quello divenne il viatico per la nostra vita “dopo”.
Ricordo che di ogni macchina che si fermava davanti casa, pensavo che fosse papà che stava rientrando.
Ricordo quella strana sensazione di avvertire contemporaneamente la presenza e l’assenza. La fusione del “non più” col “non ancora”. L’angoscia e lo smarrimento, un dolore fisico di amputazione.
La consapevolezza del “per sempre”.
Ricordo il coraggio della mamma che dopo qualche giorno ci riunì e decretò che era il momento di rimettersi in piedi. Rispedì me e mio fratello a Bologna perché era maggio e avevamo esami, mia sorella a scuola.
Lei si rimise il camice, si fece il segno della croce e se ne tornò a lavorare.
Feci il mio primo esame il 22 maggio del 1981, tre settimane dopo la morte di mio padre.
Quel giorno sentii che era seduto accanto a me.
Maria Antonietta Labrozzi
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